Fiutare le trappole evita di prestare il fianco ai provocatori.

Il livello di sopportazione ad una provocazione è personale, dipende dal carattere ma anche da quanto si è allenati a padroneggiare le proprie emozioni ( e frequentando corsi opportuni si possono ottenere risultati soddisfacenti), dall’ importanza che diamo all’interlocutore e dalla valutazione della situazione.

Una tattica, frequentemente usata e facile da osservare in certi talk show, prevede che il provocatore spari, dritta in faccia al suo interlocutore, una provocazione che scatena una lite per poi dichiarare di essere stato aggredito, far la parte della vittima e dare la colpa all’altro. E poiché lo fa con intenzione si premura di circondarsi di persone che confermino la sua versione.

Come un vampiro, il provocatore succhia l’energia del provocato e la usa a suo vantaggio, ribaltando a suo favore le situazioni. Vuole l’attenzione del suo bersaglio, reagire quindi alla provocazione equivale a cadere nella sua trappola ed è rischioso quando il livello di aggressività aumenta a tal punto da trascendere in violenza verbale, emotiva o psicologica.

La vittima prescelta spesso è una persona sensibile, con una bassa propensione all’aggressione, non di rado ha qualità di cui il provocatore è segretamente invidioso e le usa come fossero vulnerabilità da sfruttare.

Temere conseguenze, ripercussioni e di dover subire una violenza peggiore se si reagisce porta la vittima a tacere, se il provocatore fiuta questa paura, la userà per la sua opera persecutoria. Star zitti di fronte ad un attacco è controproducente se viene scambiato per debolezza e passività ma non rispondere ad una provocazione non significa solo subirla passivamente.

Non si possono eliminare tutti i provocatori ma si può imparare qualche strategia di difesa.

Osservare il linguaggio non-verbale dell’interlocutore e le circostanze ricordando che agire è diverso da reagire. Già Aristotele suggeriva di evitare di mettersi a discutere con il primo venuto o con gente che parla tanto per parlare. Nelle “Confutazioni sofistiche” classificò le false argomentazioni ‘paralogismi’, ‘confutazioni apparenti’, usate da sofisti e dialettici disonesti per ingannare gli interlocutori nei dibattiti e accreditarsi come sapienti.

L’aggressività, spesso è confusa con la forza, chi fa la voce grossa s’impone e viene talvolta tenuto più in considerazione di chi ha un’attitudine più mite. Solo chi è interiormente forte sa padroneggiare le sue emozioni e gestire le sue reazioni, sa essere assertivo e autorevole e non ha bisogno di aggredire e provocare.

Quando non è codardia ma una scelta libera e consapevole, non reagire ad una provocazione, punge il provocatore che, non trovando soddisfazione, perderà interesse e cercherà qualcun altro da far cadere nella sua rete.

Non c’è una ricetta di comportamento adatta a tutti e in ogni occasione, essere provocati nell’ambito del lavoro è diverso che nel privato ma saper mantenere padronanza e calma è la cosa migliore. Un provocatore ignorato potrà reagire rafforzando la dose ma far tornare al mittente la provocazione è una grande soddisfazione.

Non sempre si riesce a mantenere la calma ma si può esercitarla con allenamento interiore, dialogo con sé, riflessione, e…la forza del samurai, come racconta questa storia di saggezza che vi propongo: “Vicino a Tokyo viveva un grande samurai ormai anziano, si dedicava a insegnare il buddismo zen ai giovani, nonostante la sua età era ancora capace di sconfiggere qualunque avversario. Un pomeriggio si presentò un guerriero, famoso per la sua tecnica di provocazione: aspettava che l’avversario facesse la prima mossa, prevedeva gli errori che avrebbe commesso l’avversario e contrattaccava con velocità fulminante. Il giovane e impaziente guerriero non aveva mai perduto uno scontro. Conosceva la reputazione del samurai, voleva sconfiggerlo per accrescere così la propria fama. Tutti gli allievi si dichiararono contrari all’idea del combattimento ma il vecchio maestro accettò la sfida. Si recarono tutti nella piazza della città e il giovane cominciò a insultarlo, lanciò alcuni sassi nella sua direzione, gli sputò in faccia, gli urlò tutti gli insulti che conosceva, offendendo persino i suoi antenati. Per ore fece di tutto per provocarlo ma il vecchio restò impassibile. Quando l’impetuoso guerriero si sentiva ormai esausto e umiliato, si ritirò. Delusi dal fatto che il maestro avesse accettato insulti e tante provocazioni, gli allievi gli domandarono: “come avete potuto sopportare tante indegnità? Perché non avete usato la vostra spada, pur sapendo che avreste potuto perdere la lotta, invece di mostrarvi codardo di fronte a tutti noi?”. “ Se qualcuno vi si avvicina con un dono e voi non lo accettate, a chi appartiene il dono?” domandò il vecchio samurai. “ A chi ha tentato di regalarlo”, rispose uno dei discepoli. “ Lo stesso vale per invidia, rabbia, insulti e provocazioni“, disse il maestro: “Quando non sono accettati, continuano ad appartenere a chi li porta con sé”.

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