Alla fine del mio articolo nello scorso numero di dm&c avevo promesso che avrei approfondito il tema degli eventi sostenibili. E per me, come dice un vecchio proverbio, ogni promessa è debito.

Chissà se i nostri politici conoscono questo proverbio?

Ma  a parte questo, mi sembra ovvio portare la vostra attenzione sul fatto che anche  quando si utilizza come medium di comunicazione quello degli eventi, anche gli eventi si devono preoccupare di non disturbare il giusto equilibrio che il nostro martoriato mondo pretende di avere .

Per fortuna, come si è detto, sembra che la percezione che ci si debba affrettare di cercare almeno a raggiungere, entro il 2030,  i 17 obiettivi sostenibili che l’ONU ci ha indicato (obiettivi che sono stati condivisi, non dimentichiamolo, da quasi tutti i Paesi del mondo), si stia diffondendo un po’ in tutti noi.

E, se è vero, che il nostro primo impulso è quello di pensare che questi problemi debbano essere risolti dai “grandi della terra”, è pur vero che una vocina dentro di noi ci dice che non possiamo rimanere solo spettatori. Il che vuol dire che ciascuno di noi può, anzi deve, diventare co-protagonista.

Possiamo pensare che gli eventi aziendali, importante medium di comunicazione anche in questa era-social, possano esentarsi dall’essere sostenibili?

Certo no. E chi si deve preoccupare che intraprendano questa strada? Beh, qui i protagonisti sono due, entrambi un po’ timorosi: chi li organizza e chi richiede che vengano organizzati. Cioè l’agenzia e il “signor cliente”.

E perché entrambi si preoccupano? La prima perché, in questi tempi di “preventivi al ribasso” teme di uscire con una proposta che si presenti poco competitiva nei confronti dei concorrenti, il secondo perché teme di dover spendere di più per far realizzare un evento sostenibile. E in effetti in questo momento di cambiamento non sempre si possono trovare fornitori che riescano ad offrire prodotti sostenibili al costo di quelli che facevano la stessa funzione ma non preoccupandosi della sostenibilità.

 Ecco allora che l’agenzia ha il compito di mettere in campo il ragionamento e il buon senso. E deve riuscire a spiegare al cliente almeno due cose. Uno: ci sono analisi e studi che sostengono che, per qualsiasi prodotto, un cliente è disposto a spendere sino al 20% in più, a fronte di quanto può acquistare in termini di reputazione nei riguardi dei suoi interlocutori (e miglior reputazione vuol dire maggiore opportunità di business). Due: che l’esempio che l’azienda dà ai suoi ospiti diventa un fattore “educativo” anche inconscio, che può spingere i singoli partecipanti a riflettere su comportamenti che, come individuo, può rendere propri, per entrare a far parte della grande squadra che contribuisce a lasciare ai posteri un mondo ancora vivibile.

 Se mi permettete vi racconto un’esperienza personale. Questa estate ho partecipato, insieme con le mie figlie, al Jova Beach Party. Credo che tutti ne abbiate sentito parlare. Bene. Pur ammettendo che il nostro atteggiamento era già altamente positivo nei confronti di Lorenzo Jovanotti, abbiamo apprezzato, oltre alla musica, la “costruzione” dell’evento. Tutto era improntato a curare di fare cose-sostenibili.

Qualche esempio?

Le sigarette erano caldamente sconsigliate, ma, a chi proprio non fosse riuscito a farne a meno, veniva regalato un simpatico posacenere portatile nel quale raccogliere i mozziconi (e tutti sappiamo come l’esistenza di una cicca di sigaretta sia praticamente infinita); la ricarica dei telefonini era fatta andando a pedalare su biciclette appositamente preparate per generare corrente elettrica (evitando così di utilizzare la normale elettricità); quanto poi alle bottigliette di plastica è superfluo dire che c’erano dappertutto contenitori per raccoglierle e quindi permetterne il riciclo; la richiesta poi di lasciare il vasto spazio dedicato all’evento nelle stesse condizioni dell’inizio è stata accettata e accolta da tutti.

E mi fermo qui. Aggiungendo solo una riflessione: le mie figlie ed io ci siamo confermate fans di Jovanotti (ma lo eravamo già convintamente) ma ci siamo anche aperte maggiormente all’attenzione alla sostenibilità (cosa che prima ci aveva visto tiepide spettatrici).

 Recentemente ho letto che I Cold Play, uno complesso musicale ha deciso di sospendere il tour internazionale per riuscire a rendere i concerti degli eventi totalmente sostenibili.

 Probabilmente gli eventi aziendali, e non, che ci passano per le mani non sono a quei livelli, ma ancora una volta dobbiamo pensare che non solo i “grandi” sono chiamati ad essere responsabili.

Ricordate cosa diceva Kennedy? “Non ti chiedere solo cosa l’America può fare per te. Domandati cosa tu puoi fare per l’America.”

 Io sono convinta che oggi non sia più accettabile realizzare un evento che non rispetti le regole della responsabilità sociale.

Se ne siete convinti anche voi forse vi starete chiedendo che cosa si deve fare per realizzarlo.

 E’ certamente possibile senza dover rivoluzionare tutto. Ma questo articolo sta diventando un po’ lungo.

Vi dirò come la vedo io. La prossima volta.

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